№ 3-4 MARZO — APRILE 2016

Editoriale

Grazie, Umberto

A cura di Francesca Rossi

Il 19 febbraio 2016 la morte ci ha privati di uno dei più grandi pensatori del Novecento, Umberto Eco. Un uomo che ha dedicato la vita alla riflessione sul mondo, con le sue grandezze e le sue miserie e sulla Storia che tanto avrebbe da insegnarci ma che, spesso, non ascoltiamo per pigrizia intellettuale.

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Eco è stato un filosofo, uno scrittore e tutte le sue opere rappresentano un’eredità dal valore inestimabile, che dovremo essere in grado di capire e preservare.

Nato ad Alessandria nel 1932, il suo temperamento curioso, ironico e diretto si rivelò già nel periodo della giovinezza. Si laureò in Filosofia, nel 1954, all’Università di Torino e, nello stesso anno, fu assunto dalla Rai come telecronista.

Il suo interesse per l’epoca medievale si accostò a quello per i media e la semiotica, portandolo all’elaborazione e alla scrittura di saggi e romanzi famosi in tutto il mondo, figli di un pensiero assolutamente originale persino irriverente.

All’inizio degli anni Sessanta Eco intraprese la sua carriera universitaria che, dai principali atenei italiani, gli consentì di tenere lezioni nelle più prestigiose università internazionali.

La sua conoscenza del mondo letterario, giornalistico e televisivo fu la base di opere come Diario Minimo (Mondadori, 1963), una raccolta di articoli che analizzano personaggi letterari e televisivi, ma anche scritti di grande rilievo nella cultura italiana, dal Franti del libro Cuore di Edmondo De Amicis (Treves, 1886), al celebre presentatore televisivo Mike Bongiorno.

Proprio il pezzo dedicato a quest’ultimo, ovvero Fenomenologia di Mike Bongiorno (1961) è uno dei simboli dell’approfondimento che Umberto Eco dedicò ai mass media. Quanto questi influenzano la mente e, quindi, la vita delle persone? In che modo? Quali sono le basi e lo sviluppo della comunicazione? Queste sono alcune delle domande che lo scrittore si poneva per cercare di comprendere l’atteggiamento umano nei confronti della tecnologia e della stessa comunicazione e le evoluzioni di queste.

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Il pensiero di Umberto Eco non tralasciò il dibattito sul valore di Internet e sul ruolo dei social network. Molti di noi ricordano la lectio magistralis dello scrittore, pronunciata in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei Media a Torino. La sua posizione scettica e critica nei confronti dei social network fu motivo di accese discussioni in Italia sul modo in cui tali mezzi vengono usati.

Sono rimaste celebri Versus. Quaderni di studi semiotici, una rivista fondata da Umberto Eco nel 1971 e dedicata proprio allo studio della semiotica e La bustina di Minerva, una rubrica che spaziava da temi storici a questioni attuali, con ironia e serietà allo stesso tempo, pubblicata dal 1985 al 2016 sull’ultima pagina del settimanale L’Espresso.

Quando pensiamo a Umberto Eco risulta quasi impossibile non associare alla sua figura il primo romanzo scritto nel 1980, ovvero Il nome della rosa (Bompiani), tradotto in ben 47 lingue e da cui venne tratto un gran bel film nel 1986, per la regia di Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery nei panni di Guglielmo da Baskerville.

Definirlo esclusivamente un romanzo storico è riduttivo. Ne Il nome della rosa c’è tutto il mondo di Umberto Eco: la filosofia, l’osservazione acuta e penetrante della realtà e degli uomini, le passioni e le angosce umane, l’amore per la cultura, i simboli che rappresentano il mondo e per il mistero, l’arguzia mescolata al sarcasmo intelligente.

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L’autore, negli anni, scrisse molte altre storie che vi consigliamo, se non le conoscete, di riscoprire. Due fra tutte: Il pendolo di Foucault (Bompiani, 1988) in cui la storia dei Templari rappresenta la base su cui Eco costruì un’opera totalmente “immersa” nel valore dei simboli esoterici, nel genere del giallo e nei misteri complottistici (in parte sulla scia de Il nome della rosa); Baudolino (Bompiani, 2000), libro in cui miti, leggende, storia e romanzo picaresco si fondono per delineare i contorni dell’epoca in cui visse Federico Barbarossa (1122-1190).

Questa è solo una piccola parte dell’eredità culturale e intellettuale di Umberto Eco. Si tratta di una mole di studi, ricerche, narrazioni che l’Italia e il mondo non possono permettersi né di dimenticare, né di sciupare.

Umberto Eco non ha lasciato solo una traccia del suo passaggio terreno, bensì un vero e proprio solco che spetta a noi seguire, analizzare e da cui possiamo perfino deviare, grazie al potere insito nella libertà di parola che non ammette restrizioni, categorizzazioni, né perbeniste “purificazioni” figlie del politicamente corretto tanto in voga ai nostri giorni. Una lezione che questo grande intellettuale italiano conosceva bene e applicava ancora meglio.

№ 3-4 MARZO — APRILE 2016