№ 1-2 GENNAIO - FEBBRAIO 2016

Musica

Intervista a Stefano Montanari: “La mia vita è cercare di cogliere le occasioni”

A cura di Nadezhda Yarovaya
Foto: Sergio Gavioli

Stivali neri, pantaloni di pelle e t-shirt, anelli d’argento su ogni dita della mano, cappello nero, occhi azzurri, sguardo veloce ma profondo, con tanta passione: “Di passioni, ne ho tantissime: per la vita, per la musica, per la moto, per le cose belle. Cerco di sfruttare la vita, ogni momento”, dice.

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Oggi vorremmo presentare ai nostri cari lettori appassionati di musica una persona molto particolare e straordinaria, molto talentuosa. Una persona forte e coraggiosa, che non ha paura di distruggere gli stereotipi e le regole sia sul palcoscenico, vestito da musicista rock, sia per come interpreta la musica. “Mi piacerebbe sempre lasciarmi trasportare” — dice — “e seguire il flusso della vita”.

Stefano Montanari, violinista, pianista e direttore è il nostro protagonista di oggi. Dal 1995 al 2012 è stato primo violino concertatore e direttore dell’Accademia Bizantina di Ravenna, ensemble specializzato in musica antica, con cui ha effettuato tournée in tutto il mondo. È docente di violino barocco presso l’Accademia Internazionale della Musica di Milano, presso il Conservatorio “Dall’Abaco” di Verona. Come direttore è regolare ospite di teatri quali il Teatro “Coccia” di Novara, il Teatro del Giglio di Lucca, il Teatro “La Fenice” di Venezia, il Teatro Donizetti di Bergamo, il Teatro Massimo di Palermo e l’Opéra di Lione. Nel 2012 la sua Carmen di G. Bizet all’Opéra di Lione è stata eletta miglior opera dell’anno dal pubblico francese.

Nei primi giorni di dicembre Stefano Montanari è venuto a Mosca a dirigere La clemenza di Tito di Mozart, un’opera seria in due atti, ultimo capolavoro teatrale del genio salisburghese creato in soli 18 giorni. Abbiamo incontrato Stefano alcuni giorni prima del suo trionfo sul palcoscenico della Filarmonica di Mosca per parlare di musica, dei suoi progetti futuri, delle sue passioni.

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Nadezhda Yarovaya — Ciao Stefano, prima di tutto vorrei darti il benvenuto in Russia! Non è la tua prima volta a Mosca, vero? Come ti trovi qui?

Stefano Montanari — Ciao Nadia! No, non è la prima volta che vengo a Mosca. Nel maggio del 2014 ho diretto Così fan tutte di Mozart al Teatro Bolshoi. Mosca mi piace molto, mi trovo benissimo, c’è sempre tanta gente bella e intelligente.

Y. — Questa volta sei qui per dirigere La clemenza di Tito con l’Orchestra Russa da Camera. Sei emozionato? Cosa ti aspetti dal concerto, e dal pubblico?

M. — Sì, sono molto emozionato e curioso! È la prima volta che dirigo quest’opera e la prima volta che devo dirigere un’opera in forma di concerto… non mi era mai capitato. Riguardo l’orchestra posso dire che sono bravissimi, tutti giovani, appassionati e innamorati della musica, c’è una bella atmosfera che mi piace molto, mi diverto. I cantanti sono bravissimi (Segrey Romanovsky, Anna Bonitatibus, Birgette Christensen, Olivia Vermeulen, Angela Vallone, Oleg Zybulko): spero faremo un bel concerto insieme!

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Y. — È difficile trovare il rapporto giusto tra il direttore e i musicisti? Esiste una forma di rapporto ideale secondo te? Se esiste, com’è?

M. — Non è cosi facile trovare “il giusto mezzo”. Secondo me un bravo direttore non deve essere né troppo duro né troppo “molle” (nel senso di “senza autorità”), dipende molto dalle persone che ha davanti. Il mio obiettivo è sempre quello di ottenere il massimo e questo lo puoi ottenere, secondo me, in tanti modi diversi. Quello che mi piace è cambiare il mio modo di essere senza perdere di vista chi sono io veramente. Essere un’autorità per me non vuol dire essere sempre cattivo, oppure arrabbiato. I direttori sempre arrabbiati io non li sopporto, per me la musica è divertimento, sempre. Quello che cerco di fare è instaurare un rapporto abbastanza stretto con ognuno dell’orchestra, capire le persone con cui lavoro e lavorare in modo che ci sia sempre il piacere di suonare insieme. Non so se sia giusto o meno, ma per me è la collaborazione ideale.

Y. — E per quale motivo hai iniziato a fare il direttore? È stato il tuo sogno nel cassetto?

M. — No, al contrario, io non volevo fare il direttore. È successo per caso, esattamente 10 anni fa. Un giorno un direttore di un teatro mi ha detto: “Stefano, che ne dici di dirigere Le nozze di Figaro di Mozart?” E io ho accettato. Devo dire che i miei genitori sono molto appassionati di musica classica, soprattutto mio padre. Da piccolo ogni settimana andavamo a sentire concerti, balletti e opere. E a un certo punto dell’opera veramente non ne potevo più. Mi dicevo: “Adesso di opera non ne voglio più sapere”. E per 15 anni non ha più fatto parte della mia vita. Una volta diventato adulto, quando ho cominciato a suonare con l’Accademia Bizantina di Ravenna, l’opera barocca mi ha aperto un mondo nuovo, è entrata nel mio cuore ed è diventata la mia passione pura. Una cosa che mi ha aiutato molto nei primi passi della mia attività da direttore è stata la mia esperienza ventennale come konzertmeister. Perché quando dirigi opere di quel tipo, il primo violino ha sempre un rapporto molto stretto con il palcoscenico. Ma all’inizio era un casino, a volte andava benissimo, a volte era un disastro. Non capivo niente, non sapevo come dirigere, non avevo mai lavorato da direttore con dei cantanti. Ricordo che mi divertivo molto, ma facevo tanta fatica. Alcune recite andavano bene, alcune altre male, ma ho studiato tantissimo: studiavo il gesto davanti allo specchio, tutti i giorni! Poi col tempo e la pazienza si impara. Comunque ho un bel ricordo di quella prima opera, mi è piaciuta molto e devo dire che avevamo riscosso un bel successo! Così, da quel momento, ho cominciato a dirigere.

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Y. — La tua passione per il violino ce l’hai da piccolo o è stata una scelta dei tuoi genitori?

M. — È una storia molto interessante. Infatti io volevo suonare la tromba, non so per quale motivo. Mi ricordo che ascoltavo sempre un disco di Wynton Marsalis, che mi piaceva tantissimo. A 6 anni ho cominciato a suonare il pianoforte, ma non mi piaceva molto. Come già ho detto, i miei genitori sono molto appassionati di musica, quindi hanno obbligato me e le mie due sorelle a studiare musica. All’epoca c’era mio zio che lavorava in Cecoslovacchia e per il mio compleanno gli chiesi di portarmi una tromba come regalo. Poi gli rubarono il portafoglio con tutti i soldi, e quelli che gli erano rimasti in tasca erano troppo pochi e non bastavano per comprare la tromba: fu così che mi comprò un violino! Lo portò a casa per il mio compleanno, e io cominciai a suonarlo subito. Avevo 10 anni, quindi cominciai abbastanza tardi, ma la passione arrivò quasi subito… Capii che volevo fare il musicista! Così mi diplomai sia in violino che in pianoforte.

Y. — Adesso quando sei molto impegnato con la tua attività da direttore ti manca il violino?

M. — No, non mi manca per niente! Io sto bene senza di lui, lui sta benissimo senza di me, abbiamo un rapporto molto libero. Non lo porto mai in giro se non sono impegnato anche in concerti. Poi, quando siamo insieme, andiamo d’accordo. In realtà io non ho molto tempo libero per suonare adesso: la mia attività da direttore mi occupa molto, ma mi dà tantissime soddisfazioni. Ci sono tanti progetti interessanti nei quali mi sento molto coinvolto.

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Y. — Come è entrata nella tua vita la musica barocca?

M. — La musica barocca non mi piaceva per niente, l’ho odiata fino a 17-18 anni. Da bambino, quando ascoltavo tutti questi concerti di Vivaldi, Bach… mi annoiavo tantissimo e non capivo come mai. Quando sono cresciuto ho scoperto che era perché erano realizzati male, soprattutto in Italia. Poi un giorno ho ascoltato un concerto dell’Accademia Bizantina di Ravenna: suonavano Le Quattro stagioni di Vivaldi con strumenti moderni, in un modo che mi sembrava molto strano, e ne sono rimasto veramente stupito e affascinato. E da quel concerto è iniziato il mio rapporto stretto con la musica barocca. Ho frequentato le lezioni da Carlo Chiarappo, direttore e primo violino dell’ensemble, e ho cominciato a suonare con l’Accademia Bizantina dal 1989, subito dopo il diploma, fino al 2012.

Y. — Quali sono i tuoi compositori preferiti?

M. — Mah, mi piace tutta la musica… ma a dire la verità, la musica classica non la ascolto quasi mai nella mia vita quotidiana! Prima sì, ma adesso meno, mi piace molto crearla e suonarla. Sono appassionato di heavy metal, di musica rock (Led Zeppelin, Iron Maiden, Rage Against The Machine sono i miei gruppi preferiti). Del repertorio classico mi piace tutto il barocco, Bach, Vivaldi, Tartini, Monteverdi, Locatelli, Biber, ma anche tantissimo Mozart, Mahler, Richard Strauss e soprattutto Shostakovich. Quando ero piccolo ascoltavo molto il suo Concerto per tromba e pianoforte e piangevo sempre, mi emozionava tantissimo. In realtà il barocco non l’ho studiato con nessuno, l’ho scoperto io da solo, mi sono lasciato trasportare dalle scoperte che facevo man mano, giorno per giorno. In quello che faccio non c’è imitazione di qualcuno: tutto quello che penso, che suono, che dirigo è frutto della mia interpretazione!

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Y. — Gli stivali neri, i pantaloni di pelle, gli anelli d’argento sulle dita sono il tuo look sul palcoscenico. Ti piace provocare il pubblico o secondo te c’è un collegamento tra il tuo aspetto da musicista rock e la musica classica?

M. — Provocare un po’ sì, direi che mi piace, ma non è il motivo principale. In realtà il frac non mi piace, è scomodo: ho sempre tanto caldo sul palcoscenico, mi fa sudare, mi dà fastidio. L’ho messo per tanti anni nella mia vita e a un certo punto ho deciso di smettere. Un altro motivo è che non mi piace la “divisa”, l’uniforme: quando tutta l’orchestra è vestita allo stesso modo trovo che sia terribile, un po’ anacronistico. Comunque il mio abbigliamento dipende molto dall’ambiente in cui mi trovo a dirigere o suonare… Chiaro che non vado a fare un concerto in una cattedrale vestito come uno straccione. La Francia e la Russia sono molto più avanti rispetto a questo punto di vista, mentre in Italia è più complicato. Riguardo i miei anelli: ne ho tanti, mi piacciono molto, sono abituato a indossarli, siamo ormai una cosa sola, non mi danno fastidio quando suono o dirigo, anzi quando non li metto mi sento strano, seminudo.

Y. — Stefano, vorrei farti un’ultima domanda che può essere un po’ strana per te. Non hai mai pensato di smettere la tua attività musicale un giorno e iniziare a fare qualcosa di assolutamente diverso?

M. — A dire la verità ci ho pensato tante volte! Vorrei smettere, tra qualche anno. Non voglio fare il violinista o il direttore fino a 70 anni, assolutamente no. Mi piacerebbe fare il meccanico, ho una passione fortissima per le moto, fin da bambino. Sarebbe molto interessante, magari, fare il regista. Che film farei? Sono ancora indeciso… forse una commedia, ma credo piuttosto una tragedia. Adoro le cose drammatiche, mi piace molto la tragedia in generale, per esempio sono sempre affascinato nel vedere i disastri della natura, i vulcani, le esplosioni, i terremoti, la forza degli elementi! Da piccolo mi piaceva tantissimo il fuoco, l’effetto che faceva questo elemento su di me era (e lo é ancora) incredibile, mi divertivo a bruciare le cose. Sono un piccolo delinquente, ma buono…

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