№ 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2017
Teatro
“Primo”, Olesen porta in scena la parola pura
Rappresentato a Mosca il recital letterario tratto da Se questo è un uomo
Oltre trecento gli spettatori che domenica 29 gennaio hanno assistito alla rappresentazione del monologo letterario tratto dal testo di Primo Levi e allestito al Museo della Tolleranza presso il centro israelitico della capitale russa. Grande l’attenzione del pubblico che ha potuto seguire l’evento in italiano con i sottotitoli in russo. Non solo attenti, ma partecipi e consci del dramma rappresentato negli stessi giorni della memoria per l’Olocausto.
Un recital non facilissimo, fatto di parola scarna, diretta, scevra da compiacimenti istrionici, ma tragica perché fedele al testo originale. Perché questo e perché nel Duemila? Le risposte le fornisce il regista del monologo Giovanni Calò: “A volte si sopravvive per poter raccontare. Primo Levi è sopravvissuto per poter raccontare. Il recital vuole dare voce alla sua testimonianza, perché non si può dimenticare, non si deve. Proprio l’intensità e la parola dello scrittore ex deportato favoriscono il racconto, i dialoghi hanno già una forza teatrale che trasmette a un pubblico vasto il senso della tragedia, lo fa rivivere soprattutto alle nuove generazioni”.
Scenografia spartana, della pittrice Eva Fisher, uno sfondo metallico, una sedia e una panchetta oltre agli utensili rudimentali che erano presenti nella vita del campo di concentramento. Aboliti gli orpelli, perché al centro c’è l’Uomo, il dramma dell’uomo privato di tutto, al quale rimane solo la voce.
La voce è quella dell’attore svedese Jacob Olesen, presente sulle scene italiane e non solo da oltre trent’anni e che in Primo recita in italiano ma padroneggia benissimo il tedesco dei soldati. ”Si tratta di un testo in prima persona non difficile da interpretare. Lo sforzo semmai è quello di togliere il pathos alla parola, renderla il più diretta possibile aderente alle parole di Levi”. Intento nel quale l’attore riesce alla perfezione e ci riporta all’atmosfera del lager già dall’incipit del monologo: “Per mia fortuna sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944”. Luogo, tempo e soprattutto parola.
Il pubblico russo, come da sua abitudine, ascolta, guarda, già conosce quello di cui si parla e partecipa, come testimonia Enrico Carretta produttore del monologo: “In sei mesi abbiamo realizzato anche a Mosca il progetto teatrale che portiamo avanti dal 2014 in vari Paesi e teatri, dall’Argentina di Roma – 600 posti venduti fuori abbonamento – a Trento, in Polonia, Albania ecc… La scelta del Museo della Tolleranza, uno spazio scenico non facilissimo, ha certo dato più forza alla pièce Spettatori di ogni età, molti i giovani, un pubblico d’eccezione.”
Una forza e un’intensità che gridano la tragedia del passato ma urlano anche contro i nuovi muri del Duemila.
№ 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2017