MAGGIO — AGOSTO 2018

Personaggio

Ermanno Olmi: un regista, un intellettuale, un uomo libero

A cura di Elvira Apone

“Ritengo che quelli che chiamiamo intellettuali, che fanno dell’osservazione della realtà dei tentativi di interpretazione del mondo e delle cose, non possano appartenere a un partito. Il partito è la negazione dell’intellettualità libera”. E ancora: “La politica è riconoscibile, per sua natura deve esserlo. Ma un artista non può stare da una parte o da un’altra”. Sono queste alcune delle dichiarazioni con cui il regista italiano Ermanno Olmi, scomparso il cinque maggio di quest’anno ad Asiago, in seguito a una grave malattia, sottolinea la necessità della libertà e dell’indipendenza dell’intellettuale, che, proprio in quanto testimone e interprete della realtà che lo circonda, deve conservare uno sguardo autonomo e personale sul mondo, evitando i lacci e le gabbie di ideologie politiche che tendono a imprigionarlo. Un artista, Ermanno Olmi, che nel corso di tutta la sua carriera di regista, ha sempre cercato di percorrere strade nuove e poco battute, creando un linguaggio originale e un proprio modo di rappresentare la vita fuori da ogni schema: “Non precostituisco mai un argomento preciso per un film. Al contrario, cerco di dimenticarmi il più possibile di me stesso, mi libero di tutto ciò che è precostituito perché potrebbe diventare un limite”.

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Nato a Treviglio, in provincia di Bergamo, da una famiglia contadina e molto cattolica, Ermanno Olmi rimane orfano di padre durante la seconda guerra mondiale. Dopo aver frequentato il liceo scientifico e in seguito quello artistico senza terminare gli studi, si trasferisce a Milano, dove frequenta i corsi di recitazione all’Accademia d’Arte Drammatica e, per guadagnarsi da vivere, lavora presso la Edison Volta dove gira, tra il ‘53 e il ‘61, una trentina di documentari, tra i quali La diga sul ghiacciaio (1953), Tre fili fino a Milano (1958), Un metro è lungo cinque (1961), in cui rivela la sua capacità di usare la macchina da presa, oltre all’interesse per gli operai, schiavi della meccanicità dei propri gesti e dei sacrifici cui sono costretti. Il debutto sul grande schermo avviene nel 1959 con il lungometraggio Il tempo si è fermato, dove narra l’amicizia tra il guardiano di una diga e uno studente. Sin dall’inizio, soprattutto per le sue origini umili e rurali, Ermanno Olmi mostra una particolare attenzione per le persone semplici, che vivono spesso in simbiosi con la natura, e per le piccole cose della vita quotidiana, tema che ritorna anche in I fidanzati (1963), legato al mondo operaio, cui fa seguito il più intimista E venne un uomo (1965), biografia di Papa Giovanni XXIII.

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Nel 1977 il regista firma il suo capolavoro, L’albero degli zoccoli, in cui lo sguardo verso l’universo degli umili si coniuga al recupero della dimensione tradizionale e territoriale. Ambientato alla fine del secolo scorso in una cascina vicino a Bergamo, abitata da cinque famiglie contadine, questo film si rivela un grande successo sia in Italia che all’estero e gli fa guadagnare la Palma d’Oro al Festival di Cannes, il César per il miglior film straniero, i Nastri d’Argento per la miglior fotografia, regia, sceneggiatura e soggetto originale. Interpretato interamente in dialetto bergamasco da contadini e gente di campagna senza alcuna esperienza nel campo della recitazione, L’albero degli zoccoli racconta, in modo profondo, sincero e attento ai dettagli, un mondo rurale scandito da ritmi lenti e ormai dimenticati, ma latore di un ricco patrimonio di cultura popolare: “Io sono stato forgiato dentro questa realtà rurale. Quindi non ho pensato al cinema, ma è stato questo mondo contadino che mi ha stimolato, direi quasi costretto, a fare del cinema, considerando questa realtà come fosse la parte più importante della mia vita”. Grande sperimentatore di linguaggi, con quest’opera, dunque, Ermanno Olmi porta per la prima volta al cinema il dialetto come lingua, e per di più un dialetto poco conosciuto e mai utilizzato prima in campo cinematografico, dimostrando che anche ciò che è circoscritto culturalmente e territorialmente può assumere un carattere universale se è frutto di talento, creatività e passione.

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Dai cortometraggi ai lungometraggi, dai documentari ai film, Ermanno Olmi riesce sempre a guardare al di là delle apparenze, a superare i muri che spesso dividono e nascondono, esortando lo spettatore a fare altrettanto. Paragonato a Pier Paolo Pasolini per la sua attenzione agli ultimi, Olmi ha imparato da Bergman la lezione della purezza e della tensione verso l’autenticità e l’innocenza dell’infanzia e con la sua opera, costellata di una lunga serie di premi e riconoscimenti, si è ritagliato un posto d’onore nel panorama artistico internazionale.

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Nel 1983, con il cortometraggio Milano, Olmi riceve il Nastro d’Argento come regista del miglior corto, grazie a Lunga vita alla signora, del 1987, vince il Leone d’Argento a Venezia e cinque anni più tardi, con La leggenda del santo bevitore, tratto dall’omonimo racconto di Joseph Roth, ottiene il Leone d’Oro a Venezia. Nel 2001 si aggiudica quattro David di Donatello (migliore regia, film, produzione e sceneggiatura) con Il mestiere delle armi, nel 2003 guadagna il Nastro d’Argento per il miglior soggetto con Cantando dietro i paraventi e nel 2008 viene premiato a Venezia con il Leone d’Oro alla Carriera. Dopo essere tornato per diversi anni al documentario, nel 2011 propone sul grande schermo Il villaggio di cartone, presentato alla Mostra del cinema di Venezia, nel 2014 Torneranno i prati, ambientato nelle trincee dell’Altopiano di Asiago durante la Prima guerra mondiale e nel 2017, sempre al cinema, il documentario Vedete, sono uno di voi, dedicato a Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano.

ERMANNO OLMI REGISTA

Regista autodidatta, spesso anche operatore e montatore dei propri film, pioniere nel campo del documentario, grande innovatore, Olmi ha lasciato un’enorme impronta nello scenario cinematografico internazionale, dimostrando che il coraggio e la libertà nelle scelte può fare la differenza e che la vera arte, che prescinde da regole, convenzioni e compromessi, nasce dall’estro, dalla sensibilità e dall’ispirazione. Amante della vita e appassionato del proprio mestiere, Ermanno Olmi ha sempre disdegnato la banalità e la monotonia, illuminato dalla piena fiducia nell’imprevedibilità dell’esistenza umana: Vorrei che per me il tempo non si fermasse ancora, e che la mia vita continuasse a sorprendermi, e che niente che mi sfiori o mi investa sia ordinario, dozzinale, scontato. Ma so che non è così che vanno le cose. A volte lottiamo per realizzare un risultato e ne otteniamo un altro. Apparteniamo al caso e all’ispirazione del momento”.

MAGGIO — AGOSTO 2018