№ 3-4 MARZO — APRILE 2016

Gastronomia

Vini passiti, non solo per dessert e formaggi!

A cura di Massimiliano Beretta

Quando si pensa a un vino passito, morbido, suadente e dolce, gli abbinamenti con il cibo che la logica e l’esperienza ci suggeriscono sono i formaggi stagionati erborinati e/o piccanti oppure qualche dessert, infatti la dolcezza è la sensazione più diretta e immediata al palato, sia che riguardi liquidi o solidi è la più semplice da riconoscere. Tuttavia qualche volta può trarre in inganno e ci troviamo a esprimere le nostre opinioni circa la dolcezza, quando invece magari di dolcezza non si tratta.

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Per essere più comprensibile, devo aiutarmi facendo qualche esempio solido e successivamente ci proietteremo in argomento liquido: un uovo sodo o una salsiccia, se mangiati masticandoli alcuni secondi, sprigionano una sensazione di dolcezza, oltre ovviamente ad altre sensazioni, ma si tratta di tendenza dolce e non di dolcezza. Quando beviamo un bicchiere di latte, percepiamo una tendenza dolce, che ovviamente non è dolcezza pura, ma una morbidezza dovuta a diversi fattori.

Ci sono alcuni vini, che durante una degustazione ci sembrano “dolci” ma sono semplicemente morbidi: la morbidezza è una sensazione setosa, delicata, liscia, che deve essere tuttavia conseguenza di una fase olfattiva attenta, perché un vino inserito nel palato e semplicemente deglutito non provoca conoscenza, cultura, romanticismo, interesse e coinvolgimento.

Questi vini che sto introducendo sono i famosi vini passiti secchi italiani, Sforzato di Valtellina e Amarone della Valpolicella, accomunati da tecniche di produzione simili, dove i grappoli vengono fatti appassire in appositi locali e quindi vinificati, ottenendo un vino secco e potente, ma molto morbido e setoso nello stesso tempo.

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I vini della Valtellina vengono decantati da due millenni: Virgilio e Plinio li apprezzavano moltissimo e lo stesso Leonardo Da Vinci ne apprezzò la potenza e la setosità.

La Valtellina ha un andamento est-ovest, ed è protetta dalle montagne, sul versante settentrionale la proteggono dai venti freddi e sul versante meridionale la proteggono dai venti caldi, i terreni coltivati a vite sono maggiormente sabbiosi con assenza di calcare e molto ripidi, tutto ciò contribuisce a una grande sanità degli acini, con un risultato finale ben delineato su note fresche, minerali ed eleganti.

Partecipa alla vinificazione per il 90% il Nebbiolo, chiamato Chiavennasca nella zona e il disciplinare consente un 10% di altre uve rosse non aromatiche, viene chiamato Sforzato in virtù della tecnica utilizzata prima della fermentazione, molto simile a quella utilizzata per l’Amarone, che scopriremo più avanti.

Maggiormente diffuso rispetto allo Sforzato di Valtellina anche l’Amarone della Valpolicella, decantato da 2000 anni: Catullo scriveva di bicchieri di vino amari e Cassiodoro, ministro di Teodorico Re dei Visigoti, qualche secolo più tardi, descriveva in una lettera un vino ottenuto con una particolare tecnica di appassimento delle uve, denominato Acinatico e prodotto in Valpolicella (quest’ultima sembrerebbe una parola di origine latina: Vallis polis cellae, che significa “valle con molte cantine”).

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Non vi è dubbio che l’Acinatico sia un progenitore di Recioto e Amarone, e che in Valpolicella si producesse solo Recioto, chiamato in questo modo perché si vinificava solo la parte alta del grappolo, la recia, orecchia in dialetto, questo dava un vino concentrato e con alcune caratteristiche note amare.

Nel tempo, i mutamenti climatici e le differenze di gusti fecero in modo che si utilizzasse il grappolo intero per il processo di vinificazione e che questo vino passito con fermentazione poco controllata arrivasse alla completa trasformazione degli zuccheri, incontrando il gusto degli allora consumatori della nobile bevanda.

La tecnica per vinificare vini passiti secchi come lo Sforzato di Valtellina o l’Amarone della Valpolicella risulta essere simile, anche se il metodo produttivo attuale è in qualche caso leggermente mutato rispetto alla tradizione, ma è una riflessione che faremo dopo aver illustrato brevemente la tecnica e la natura dei terreni, con le relative influenze a livello gustativo del risultato finale.

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Se lo Sforzato deve la sua eleganza al terroir della Valtellina e a un vitigno come il Nebbiolo, che necessita di escursione termica e di temperature relativamente basse, l’Amarone si affida a un uvaggio principale (Corvina, Corvinone e Rondinella) al quale si possono aggiungere Molinara, Oseleta e Croatina e in qualche caso anche vitigni rossi internazionali non aromatici. Queste uve hanno il vantaggio di avere una buccia molto coriacea e di mantenere in appassimento le caratteristiche possedute in vendemmia, che viene svolta selezionando grappoli sani e spargoli, sistemati in cassette di legno o di plastica e a loro volta in locali adatti all’appassimento detti fruttai.

I fruttai sono fondamentali per un’attenta disidratazione delle uve: situati sopra le abitazioni o le cantine, devono avere un’ottima circolazione d’aria e assenza di umidità. Nei locali più storici si pongono i grappoli sulle arele, piani di legno, dove si sistemano le uve evitando che si schiaccino e si lascia che la ventilazione naturale faccia il proprio corso. Nelle aziende più grandi, invece, i fruttai sono capannoni termo-condizionati e si lascia un pochino meno spazio alle incertezze della natura. I grappoli rimangono in questi locali 90/120 giorni, e perdendo indicativamente il 50% del loro peso si abbassa l’acidità e si modifica la proporzione tra glucosio e fruttosio, si concentrano i polifenoli e la glicerina, dunque  cominciano ad essere evidenti i motivi che rendono questi vini setosi e vellutati.

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Terminato l’appassimento, le uve vengono sottoposte a pigiatura e vinificazione. Un primo metodo tradizionale prevede un processo secondo natura, quindi una fermentazione a basse temperature, in quanto dopo la vendemmia e l’appassimento, ci troviamo in pieno inverno e i primi mesi del nuovo anno risultano essere i più freddi, con un tempo di macerazione molto lungo (diverse settimane addirittura). Ricordiamo che la macerazione altro non è che il contatto di buccia, polpa e vinaccioli delle uve con il liquido da loro stessi creato: questo metodo tradizionale fa sì che il vino necessiti di un affinamento più lungo, sia esso in botti di legno e/o in bottiglia. Si ottiene un vino ricco di passione e calore, un’autentica espressione di conservazione della tradizione. Straordinari interpreti di questo metodo sono Quintarelli e Romano Dal Forno.

Un secondo metodo di vinificazione, che si discosta dal metodo tradizionale, risulta essere meno rischioso, evitando i capricci delle condizioni meteorologiche incerte: la fermentazione si svolge controllando le temperature e muovendo la massa uva/liquido. Questo permette di ottenere una più veloce estrazione delle sostanze che definiranno il profilo sensoriale del vino e in tempi brevi e senza la necessità di un affinamento prolungato, ottenere vini morbidi, vellutati e fruttati, pronti e facilmente comprensibili.

Chiaramente, per entrambi i metodi, dopo la vinificazione, è previsto un periodo di permanenza in botti di legno. Gli interpreti del metodo più tradizionale preferiscono solitamente botti di legno grande, mentre le realtà che scelgono il secondo metodo utilizzano barrique da 225 litri per l’affinamento, che fornisce risultati di maturazione più immediati e meno progressivi.

È necessario dedurre che il segreto di un vino che può essere grandissimo in alcune sue espressioni è l’appassimento delle uve. Il metodo più tradizionale riesce solo se il fruttaio ha condizioni particolari, straordinarie e il rischio che il processo di appassimento non riesca è molto alto: chi dunque non aveva condizioni idonee o un fruttaio troppo piccolo per le proprie necessità, scelse strutture termo-condizionate con tutti i vantaggi di cui abbiamo parlato qui sopra.

Questo processo più sicuro e controllato ha portato però alla scomparsa del gusto “appassito”, cioè quelle note erbaceo-speziate che troviamo in molti amari e che troviamo molto più spesso nel vino Sforzato di Valtellina e negli Amarone con appassimento e vinificazione tradizionale.

In linea generale, il territorio della Valpolicella, che copre tutta la fascia pedemontana della provincia di Verona, dal lago di Garda fino alla provincia di Vicenza, è composto da depositi morenici e fluviali di origine vulcanica e da disgregazioni di formazioni calcareo-dolomitiche nonché da basalti: questo permette grandi differenze di terroir, specialmente tra la Valpolicella classica, la Valpantena e la Valpolicella orientale e tra zone pianeggianti, media e alta collina.

La Valpolicella classica è la parte più occidentale: S. Ambrogio, S. Pietro in Cariano e Fumane, trasmettono al vino una certa austerità. Accanto alle classiche note di ciliegia, troviamo accenni di erbe aromatiche, flora di montagna e spezie. Marano si distingue per la marasca, la macchia mediterranea e note balsamiche, Negrar trasmette maturità delle note fruttate e tannini estremamente dolci.

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La Valpantena si identifica con un corpo del vino misurato, sentori di fiori rossi freschi e appassiti accompagnati ad un’eleganza di fondo.

La Valpolicella orientale trasmette ai suoi vini una ciliegia dolce e croccante, cannella, vaniglia, di grande freschezza e un corpo sinuoso.

Le principali differenze tra questi due grandi vini sono i vitigni che li compongono, il terroir più omogeneo in Valtellina e frammentato in Valpolicella e il modo di porsi verso il consumatore: mentre la Valtellina rimane in generale più vicina alla tradizione, la Valpolicella, con il grande successo commerciale e il recente allargamento del territorio nel quale è consentito produrre Amarone, interpreta una filosofia più moderna e attenta ai gusti delle persone.

Le aziende vitivinicole che producono lo Sforzato di Valtellina hanno anche nella loro proposta Valtellina superiore con caratteristiche ben distinte rispetto al fratello maggiore. Molto difficile confonderli dal punto di vista gustativo, ma analizzando la Valpolicella nella sua accezione più moderna, troviamo alcuni Valpolicella Ripasso che sono molto simili ad alcuni Amarone, soddisfano appieno il bisogno edonistico di un consumatore poco attento, coinvolgendo il suo palato con setosità e morbidezza, con struttura e corpo, ma allontanando il concetto di ciò che il vino ci deve comunicare.

Il vino dovrebbe comunicare storia, tradizione, cultura, emozione e soprattutto stimolare una curiosità ancora maggiore verso la conoscenza delle persone e del territorio dove esso è creato.

№ 3-4 MARZO — APRILE 2016